Saviano, De Magistris e il Meridione che (non) cambia (mai)

Ripubblico questo post, precedentemente pubblicato (7 gennaio 2017) sul blog diPalermo, chiuso a metà 2017. Qui la serie in costruzione.

1. Ho appena finito di rileggere l’ultimo libro di mio padre Alberto sul periodo, alla fine degli anni ’90, in cui il Meridione si è sviluppato più e meglio del Nord, sulle ragioni di quello sviluppo e sulle ragioni per le quali quella “grande svolta” non si consolidò e quello sviluppo si interruppe. In estrema sintesi, furono alcune politiche virtuose, sia nazionali (come la decentralizzazione amministrativa e la programmazione negoziata) che europee (i Fondi Strutturali), a lanciare lo sviluppo. Per capire l’interruzione dello sviluppo, le politiche non bastano, e il libro ragiona su come, alla fine, furono prevalenti quelle pressioni, politiche e culturali, contro il cambiamento. Quelle pressioni hanno sempre fatto ampio uso della retorica sulla impossibilità al cambiamento: il Sud mai cambierà, quindi non vale la pena investire sul suo cambiamento (e, infatti, negli anni 2000 le politiche nazionali di sviluppo furono progressivamente smantellate).

2. Esiste una lunga tradizione di discorsi e retoriche sulla “irredimibilità” del Meridione, una tradizione che non è fatta di soli sciacalli, ovvero di quei politici e intellettuali che speculano sul sottosviluppo per interesse personale. In questa tradizione rientrano un gran numero di intellettuali di grande livello, intellettuali che hanno avuto un ruolo culturale anche importantissimo. Mi riferisco, ad esempio, a Leonardo Sciascia, che ebbe il coraggio di denunciare la Mafia quando altrove si preferiva ignorarla. Eppure, Sciascia, quando accusò Paolo Borsellino di essere un “professionista dell’antimafia”, finì per aggredire un pezzo di un cambiamento che era in atto. Non per interesse sbagliò Sciascia: ma perché non riusciva a immaginare che la fine della Mafia fosse possibile e che Borsellino e Falcone ci si stessero avvicinando; e quindi sospettava della loro integrità.

3. Roberto Saviano, a mio parere, è caduto nella stessa trappola, ad un certo punto del suo percorso intellettuale. Gomorra è un documento straordinario, che ha acceso i riflettori su fenomeni che si preferiva ignorare. E, infatti, quella denuncia Saviano la sta pagando ancora oggi, con la sua cattività forzata. Eppure, nel tempo, la denuncia è diventata profezia, profezia di fallimento, profezia di immobilità. E, in una recente intervista, quando gli si chiede di commentare una scintilla di cambiamento, la ribellione degli ambulanti immigrati, Saviano è interessato più a sottolineare che la Camorra non si possa sconfiggere che non parlare di quelle forze che potrebbero sconfiggere la Camorra.

4. La risposta di Luigi de Magistris alla intervista non si è fatta aspettare. De Magistris coglie nel segno quando critica la maniera in cui Saviano ignori il fatto che a Napoli stiano succedendo cose importanti: sarà forse ancora troppo poco, saranno forse processi ancora localizzati in certe parti di città; ma si tratta di processi che, per diventare vero cambiamento, hanno bisogno di una spinta culturale per la quale gli intellettuali, come Saviano, sarebbero cruciali. De Magistris, invece, sbaglia nel suggerire che sia per interesse o ignoranza che Saviano scrive quel che scrive: è il conformismo alla visione dominante di cui scrivevo sopra che fa di Saviano l’ennesimo profeta della irredimibilità del Mezzogiorno. Saviano non riesce a immaginare il cambiamento e allora ogni novità gli risulta sospetta. E allora ben venga avvertire Saviano, dalla cui buona fede non dubito minimamente, che il suo discorso è diventato, nel tempo, inconsapevole alleato di chi ha interesse a tenere il Mezzogiorno sotto scacco.

5. E allora come costruire un discorso del cambiamento? Ci aiuta Albert Hirschman e la sua arte del “possibile”. La retorica della “irredimibilità” è una arte del “probabile”: analizza razionalmente quel che esiste per accorgersi (che ovvietá!) che il cambiamento è difficile e, quindi, improbabile. Nel fare questo, però, rende quel che è improbabile “imposibile”, diventa una profezia che si auto-avvera: se il cambiamento è impossibile, perché adoperarsi? Il discorso del cambiamento è invece quello che vede, nei piccoli segnali esistenti, la “possibilità” che si intraprenda un’altra strada, e dà forza e energia a chi quella strada sta provando già a percorrere. Il “possibile”, nel Meridione, è costituito da mille e mille piccoli tentativi che esistono e hanno bisogno di essere accompagnati e supportati, come è stato per alcuni anni alla fine degli anni ’90 e come può essere ancora. E per far questo abbiamo bisogno sia della società civile, sia di sindaci come De Magistris, sia di intellettuali come Saviano; ma solo se sono disposti a diventare alleati del possibile.

About Simone Tulumello

Researcher in Planning and Geography at ULisboa, Institute of Social Sciences. Keen on cities, politics, photography and electronic music. Lover of cities, especially Palermo and Lisbon, in a complicated relationship with Memphis TN.
This entry was posted in diPalermo, riflessioni ed idee, sviluppo and tagged , , , , , , . Bookmark the permalink.

Leave a comment